Quell'attimo resterà memorabile ed eterno. Persino scolpito in alcuni frame visibili in tanti film dedicati a Diego. L'ultimo, in ordine di tempo, il documentario firmato da Asif Kapadia. Maradona che beffa Galli con una magia delle sue, dopo un gustoso stop di petto, e regala al Napoli la seconda vittoria consecutiva in un momento di crisi strisciante per gli azzurri. Il primo ad abbracciarlo è lui, Marco De Simone, poi arriveranno in serie Dal Fiume, Celestini e Bertoni. Era il gennaio del 1985 e faceva freddo a Firenze. In quel periodo il riscatto del Napoli, faticoso benché pianificato da lontano, passava attraverso le insidie di un tempo meteorologico inclemente, se solo si pensa alla battaglia con l'Udinese di sette giorni prima, tra fango e grandine. Qualche giorno dopo ci sarebbe la stata storica partita-evento ad Acerra per raccogliere fondi a beneficio di un bambino che necessitava di una operazione urgente programmata in Francia. Anche quel giorno, la pioggia tentò di disturbare un pomeriggio troppo grande per lasciarsi scalfire in questo modo. Diego e Marco che si appartano per il riscaldamento, e poi simulano un incontro di pugilato, già vestiti di azzurro. Anche quella, una goccia di memoria congelata in un'ampolla sacra. "Ho pianto - confessa De Simone -. Appena ho appreso la notizia della morte di Diego, non sono riuscito a trattenermi. Successivamente mi è montata la rabbia nel leggere e ascoltare le tante idiozie generate da persone che parlano per sentito dire, per invidia, per mettersi in mostra. Non conoscevano Diego e sentenziano. Abbiamo visto di tutto in queste ore. Ma Diego lo conosceva bene solo chi gli era vicino, nessuno lo può giudicare. Perché lui, anche umanamente, era un ragazzo eccezionale. Amava le persone genuine, vere. Se capiva che volevi prenderlo in giro o approfittarti di lui, ti allontanava".

Una sincerità che non gli è stata perdonata. 

"Ma resta la credibilità di quello che affermava. Ha attaccato un sistema che poi si è rivelato in parte corrotto, ha posto l'attenzione su personaggi ambigui le cui magagne sono poi uscite fuori. Era sincero perché conosceva i fatti. E certe dinamiche le intuiva prima degli altri. Diego ha avuto ragione su tutta la linea, era coraggioso a differenza di tanti opportunisti. Parlava senza calcoli. E allora non volete che ancora oggi Diego risulti antipatico a tanti piccoli uomini?".

Quali sono i tuoi ricordi particolari di Diego?

"Arrivai a Napoli ad ottobre, facendo il percorso inverso col compianto Gianni De Rosa che andò a Cagliari. Fui l'unico innesto del mercato di riparazione, che all'epoca si svolgeva solo in autunno. Feci l'esordio a Bergamo ma giunsi in un momento complicatissimo per il Napoli. Quindi, dopo una serie di risultati negativi che ci avevano relegato in piena zona retrocessione, arrivammo al famoso ritiro di Vietri sul Mare, dove preparammo la partita con l'Udinese. In quei giorni si vide la grandezza assoluta di Diego, che prese letteralmente la situazione in mano, da leader vero. Diego ebbe un confronto aperto con Ferlaino e gli promise che la squadra avrebbe cambiato pelle. Ci mise la faccia a nome di tutti e prendendosi ogni responsabilità per tutti. E noi, effettivamente, cambiammo marcia. E facemmo un girone di ritorno strepitoso, arrivando ottavi e ad un soffio dalla zona Uefa. Ma lui già aveva dimostrato una capacità unica di essere uomo spogliatoio, simbolo dei compagni. Diego prese per mano una squadra in enorme difficoltà. E si badi bene che non eravamo fortissimi, non eravamo stati costruiti per vincere. Eppure lui riuscì a trasmettere alla squadra carattere e mentalità vincente. Poi c'era stato anche un famoso prologo". 

Quando in particolare?

"Due giorni dopo il mio esordio con l'Atalanta, Diego ci invitò a festeggiare il suo 24/° compleanno presso il locale di Gianni Improta a Posillipo. Organizzò una grigliata di carne argentina e fu una serata divertentissima. Il vero campione si è sempre visto nelle difficoltà, non negli agi. E Diego, in qualsiasi momento delicato, faceva di tutto per tenere uniti i compagni e deresponsabilizzarli facendosi carico di tutto, se era il caso. Tutti noi a un certo punto ci sentimmo importanti, ma eravamo gli stessi da inizio stagione. A parte me che ero arrivato ad ottobre".     

Ci dicevi del lato umano. 

"Sono tanti ricordi. Lui era un ragazzo semplice e disponibilissimo. Si concedeva a tutti e si divertiva in qualsiasi cosa che faceva. Se gli davi una pallina di ping pong, ti palleggiava di fronte senza fermarsi mai. In questo senso, ricordo perfettamente una cena che Diego organizzò da Ciro a Mergellina. Prese il locale solo per noi. C'era un cameriere emozionatissimo, gli chiedeva una performance, una qualsiasi, e lui a un certo punto prese un'arancia e si mise a palleggiare nel tripudio generale. Diego era questo, disarmante per la sua umanità. E anche tecnicamente, quello che avete visto sul campo non è nemmeno la metà di ciò che realmente sapeva fare. Bastava vedere gli allenamenti, roba da restare a bocca aperta. Ripeto, è un momento difficile anche per me. Peraltro con lui ci eravamo rivisti al San Carlo, in occasione dello spettacolo con Siani. Fu un incontro commovente. All'epoca del Napoli, Diego è venuto a casa mia a Frattamaggiore diverse volte a mangiare: sono andato a trovare mia madre e abbiamo ricordato insieme quei momenti. La casa è la stessa, ogni angolo sembrava parlasse di lui. E allora, se da un lato sono commosso da tutto questo fiume di affetto che gli viene tributato, da un altro mi è montata la rabbia nel leggere i giudizi cattivi e ingiusti di certi giornalisti e pseudo opinionisti". 

Sezione: Interviste / Data: Gio 26 novembre 2020 alle 17:00
Autore: Stefano Sica
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