Vincere nella propria città ha sempre il gusto della magia. E' un'impresa non alla portata di tutti, che giocoforza ha anche il fascino dei proibito. Se poi ti riesce di legare il tuo nome ad una vera e propria leggenda sportiva, allora puoi prenderti anche l'universo. Ma facciamo un passo indietro: Anellino, Vio, Marino, Costa, Bigotto, Pivotto, Varriale, Sacco, Collaro, Battaglia e Sarnelli. Una poesia che si imparava in fretta e si recitava a memoria. Un endecasillabo rinforzato, immortale nella sua immensità. Erano gli 11 eroi del Campania Puteolana, quelli che sotto la guida tecnica di Canè approdarono nel 1989 in C1 anche grazie all’apporto di tante colonne spesso irrinunciabili. A quei tempi, ad appena 20 anni, Vincenzo Varriale aveva già cambiato tre ruoli. Da giocatore professionista, s'intende. Difensore centrale nella cantera, poi mediano e ala tornante (il vecchio esterno offensivo) una volta approdato in prima squadra. Tutto nel giro di tre stagioni. Forse un record per quanto riguarda i calciatori campani. Se restiamo dalle nostre parti, il ricordo va facilmente all'ex Napoli Gennaro Scarlato, partito da attaccante atipico fino a completare la sua metamorfosi come centrale difensivo. Con oltre 60 presenze, Varriale è rimasto all’ottavo posto nella classifica degli atleti più utilizzati di sempre di quell’esperienza calcistica che per sei anni (1986-1992) fece sognare Pozzuoli. Un orgoglio per papà Gennaro, che di partite al Conte non se ne perdeva una. I giovani sono ora la sua nuova passione. Chi ha avuto l'abilità di emergere da ragazzino nel calcio che conta, sa cosa sono fatica e sacrificio. Ha titoli e requisiti veri per trasmettere certi segreti ai più giovani e per orientarne anche gli impulsi psicologici. Chiusa la sua seconda esperienza alla guida del Team Napoli Soccer, il gruppo di lavoro che ogni estate raduna calciatori under per uno stage di oltre un mese, Varriale ripartirà dall'U17 della Vis Pesaro, dopo aver diretto la scorsa stagione U15 e U16. Sostituisce Daniele Galloppa, passato all'U16 della Fiorentina.   

Del gruppo che comprende gli allenatori biancorossi del vivaio, lei è l'unico riconfermato: sensazioni? 

"Restare alla Vis è stata una grandissima soddisfazione. Quando solo un anno fa sono stato scelto per gli U15 dall'ex responsabile del settore giovanile biancorosso, Lucio Bove - e ancora lo ringrazio di cuore per la fiducia - non avevo alcuna esperienza di un vivaio professionistico. Pesaro è una grandissima piazza, con un blasone certificato. Sedici anni fa giocava col Napoli in C. Per me è stato gratificante ricevere tutta questa stima dall'ambiente e dalla società. Qui nelle Marche ci sono tanti allenatori di valore che avrebbero avuto tutte le carte in regola per lavorare alla Vis. Invece si è deciso di proseguire con me: qualcosa evidentemente ho dato e questo sarà un ulteriore stimolo per fare sempre di più e meglio. Lavorare in un contesto come questo, mi aiuta anche a non sentire la distanza da casa". 

La "saudade" della sua Pozzuoli...

"Non c'è solo questo. E' anche l'esigenza di stare vicino a mia sorella e a mio padre che ne hanno bisogno. Anche le mie figlie vorrei godermele di più. Non nascondo che mi sarei anche riavvicinato a casa se ce ne fosse stata la possibilità. Ma qui alla Vis ho tutto quello che un allenatore può desiderare. In casi come questi, non si tentenna. E io non ho tentennato".

Tantissima tattica, principi e dettami tecnici impartiti quasi ossessivamente ai ragazzi. Qual è il bilancio di questa sua seconda esperienza col Team Napoli Soccer?

"Intanto mi ha fatto piacere tastare con mano tanta simpatia e stima nei miei confronti da parte di molti tecnici ed operatori che sono venuti ad Agnano. Io so di aver creato con questi ragazzi un'empatia bellissima. Li ho adattati ai miei metodi e sono entrato nelle loro teste. Il prodotto finale è stato eccellente, con un gruppo che ha mostrato sempre disponibilità, rispetto, spirito di sacrificio e grande educazione. Mandavo un messaggio e loro lo recepivano, capendo che lo facevo non per pura formalità, ma per supportarli, per farli crescere. In sostanza per il loro bene. Così diventa tutto più semplice. Io sono uno che ha lottato tanto per strappare qualche soddisfazione nella vita. E in definitiva mi sono rivisto in qualcuno di loro. Insomma, è stato un mese di lavoro appassionante e formativo. Posso affermare con assoluta certezza che diversi under della rosa sono cresciuti in modo esponenziale in appena quattro settimane. Se poi ci incamminiamo sul terreno della qualità, devo dire che, rispetto alla scorsa estate, ho notato molto più talento e applicazione in questi ragazzi, che anche da un punto di vista cognitivo si sono mostrati ineccepibili. E per un giovane non è semplice passare con rapidità da una metodologia di allenamento all'altra. Auguro loro il meglio, ne hanno tutte le potenzialità. Devono crederci senza fermarsi mai, perché il calcio, se interpretato con la dovuta serietà e lo spirito giusto, può consentirti di guadagnare e di farti vivere soddisfazioni personali impagabili. Non posso che ringraziare i responsabili del progetto Team Napoli Soccer, Italo Farinella e Fabio Manetta. Hanno creduto ancora una volta in me e mi hanno dato nuovamente la possibilità di potermi rapportare a dei ragazzi straordinari".   

Vincere nella propria città non ha prezzo. Correva il 1989...

"Sono stati anni magnifici ma, intanto, c'è una persona che devo ringraziare più di tutte: Claudio Ranieri. Con lui ho esordito nella stagione 1987-88: mi inventò centrocampista pur di farmi giocare. Credeva molto nelle mie potenzialità. E pensare che io ero nato calcisticamente come difensore centrale. Il battesimo ci fu a Brindisi, a fine maggio del 1988. Quella pugliese era la squadra di Benarrivo e Carruezzo. Poi disputai anche le ultime due partite contro Torres e Foggia. Di quell'anno, al di là dell'amarezza della retrocessione in C2, resta la gioia di aver incontrato avversari di tutto rispetto: tra questi c'era proprio Gianfranco Zola, che venne a giocare la penultima a Pozzuoli, quando pareggiammo 2-2. Ricordo il lunedì il titolo di un noto quotidiano sportivo nazionale, "guidati da un ottimo Picasso e un instancabile Varriale". Mauro fece una doppietta che, però, la Torres annullò nel giro di pochi minuti. Ci tengo anche a ricordare che nel 1989-90, l'anno della salvezza in C1 dopo lo spareggio col Brindisi, ho avuto modo di conoscere Di Bartolomei che con la Salernitana avrebbe vinto il campionato. E arriviamo quindi al fatidico 1988-89...". 

La speranza illusoria che si fa gloria perpetua...

"In estate fui l'unico giovane riconfermato. Avevo appena 19 anni e sapevo che non sarei partito titolare, me lo fecero capire. Questo traguardo me lo sono sudato durante il ritiro. Cané mi fece giocare in Coppa Italia a Nola, sempre da mediano, poi alla prima di campionato a Castellammare, quando debuttammo con un bel 3-0. Da allora non mi tolse più. Ho chiuso quell'anno con la vittoria del campionato e 28 presenze, di cui 25 da titolare. Qualche partita la saltai in quanto iniziare a fare il militare di leva semplice, prima di proporre la domanda come calciatore professionista. La più grande gratificazione fu sentire Cané dire che con lui avrebbe giocato chi meritava, senza gerarchie basate sugli ingaggi. Con la Lodigiani tornai al "vecchio amore", quello di centrale difensivo. Io correvo, sapevo ascoltare, avevo un entusiasmo straripante. Fu nel 1990-91 che mister Gianni Improta mi trasformò in attaccante esterno. Iniziavo ad avere gamba, forza e potenza organica. Crescevo sempre più. Riuscivo a fare bene le due fasi, senza fatica. All'epoca l'impostazione tattica era diversa: un mediano giocava soprattutto dentro al campo senza fare scivolamenti. E un esterno doveva sacrificarsi il doppio. Se non correva, era tagliato fuori".

Dopo il 3-1 alla Juve Stabia ci fu la chiamata alle armi di patron Morra Greco, che escluse ogni crisi economica e parlò apertamente di vittoria del campionato. Eravamo appena alla prima giornata di ritorno.

"Noi in realtà non eravamo partiti per tornare subito in C1. Facemmo il ritiro a Grosseto in 17. Per fare le partitelle in famiglia, fummo costretti a chiedere qualche giocatore al Grosseto. Qualche problematica iniziale c'era, a dir il vero. Ma Morra Greco fece di tutto per superare le difficoltà e ci riuscì. Lui e il direttore Riccardo Franceschini furono molto abili. Poi fummo bravi noi a fare un filotto di risultati nelle prime dieci giornate di campionato -  con otto vittorie e due pari - e tenere vivo l'entusiasmo. A quel punto, con un ambiente carico a mille e un Conte sempre pieno, nessuno poteva più fermarci. E tutto diventò più facile. Peraltro il presidente si mostrò persona serissima e di parola, rispettando tutte le scadenze sui pagamenti e superando una leggera difficoltà in cui era incappato verso la fine del girone d'andata. Noi poi eravamo un gruppo a prova di bomba, con un capitano degno rappresentante di quello spogliatoio. Grazie a Costa, riuscimmo a pattuire col club un premio partita di 250mila lire a testa per ogni punto guadagnato. Una vittoria valeva 500mila lire ciascuno. Per alcune partite di cartello, il premio vittoria arrivava anche ad un milione. A un certo punto, le cifre che incassai dai premi superarono l'ingaggio netto previsto sul mio contratto. Ed ero un giovane che veniva dal settore giovanile. Per questo non finirò mai di ringraziare un uomo come Gaetano, che non a caso oggi è ancora molto amato a Pozzuoli. Mi ha sempre dato tanti consigli, non solo tecnici, ma anche di vita. La sua fu una guida essenziale per il gruppo. Da un punto di vista personale, voglio ricordare anche Lorenzo Battaglia, un vero fratello calcistico per me, oltre che quel grande campione che tutti conoscono". 

Oggi la Puteolana, nonostante il salto in D dalla porta di servizio, non vive proprio una fase di grande serenità economica e di progettualità tecnica. 

"Non perché sia la mia città, ma Pozzuoli merita tanto, anche il professionismo. Quella granata è una grande tifoseria, che già ai miei tempi mostrava tutto il suo splendore. E anche oggi ha fame di calcio. Ci vorrebbe una continuità tecnico-societaria che non sempre c'è stata nella storia della Puteolana".     

Le Marche sono state una Regione inizialmente molto colpita, in termini di contagi e decessi, dal Covid-19. Come ha vissuto questo dramma?

"Ho assistito mio malgrado a situazioni bruttissime che mi resteranno scolpite nell'anima per tutta la vita. Ho visto persone soffrire e morire anche un paio di ore dopo essere state intubate. Ed erano amici dei miei dirigenti. Per questo dramma ci sono passati cittadini di tutte le età. Abbiamo visto anche qui i mezzi militari trasportare i deceduti. Lo confesso: a volte non riuscivo neanche a dormire la notte. La lontananza dalla mia famiglia poi mi assillava. Leggo addirittura di persone che negano l'esistenza del Covid o che ne riducono la pericolosità. Assurdo. Io invece vorrei lanciare a tutti un messaggio: non sottovalutiamo questo problema. E voglio dirlo anche ai campani: teniamo sempre alta la guardia. Ci siamo gestiti bene e abbiamo evitato il peggio, ora non molliamo per mera superficialità. E rispettiamo le regole, indossando la mascherina quando dovuto e tenendo i comportamenti prescritti. Lo dobbiamo soprattutto a chi ci sta vicino".   

A che punto è la programmazione della prossima stagione?

"Col nuovo responsabile del vivaio, Alessandro Cangini, abbiamo già fatto un certo tipo di lavoro tecnico, definendo una rosa di base che partirà dopo il 17 agosto. Io sono pronto e carico. E' già un onore essere alla Vis e so che gli esami non finiscono mai".  

Sezione: Interviste / Data: Gio 13 agosto 2020 alle 15:00
Autore: Stefano Sica
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