Undici anni di Napoli possono bastare per raccontare segreti, risvolti e curiosità di un'esperienza affascinante, che nella sua complessità avrà trascinato con sé gioie e dolori ma che alla fine ha lasciato la tenerezza eterna di ricordi indelebili. Allenatore, istruttore e persino gestore di questioni extracalcistiche, Ciro Rea è stata una figura centrale per il settore giovanile del Napoli, avendo attraversato epoche di cambiamento storici e avvicendamenti societari. Dall'epopea ferlainiana alla faticosa opera di ricostruzione del vivaio post fallimento, Rea ha legato il suo nome al club azzurro dal 1998 al 2009. Proficua la collaborazione con Peppe Santoro, tornato quest'estate al Napoli nelle vesti di team manager dopo aver diretto il settore giovanile proprio agli inizi dell'era De Laurentiis. "Lui mi diceva sempre che avevo costituito una società nella società per le mie capacità organizzative - esordisce con un sorriso il trainer di Cercola -. Del resto conoscevo i ferri del mestiere e mi sono dato da fare per garantire qualcosa in più dell'ordinario...". Adesso Rea, classe '62, è il responsabile della scuola calcio del Cercola Calcio Fox, la creatura di Franco Esposito che si presenterà ai nastri di partenza del prossimo campionato di Promozione. Un incarico che si coniugherà con quello di allenatore della formazione Under 17: impellente la voglia di dare un contributo alla realtà calcistica emergente della propria città. "Sono già al lavoro, pronto per questa sfida con la carica che mi ha sempre accompagnato - chiarisce -. Col presidente Esposito è stata intesa a prima vista: a presentarci è stato Amedeo Petrazzuolo, l'attuale preparatore dei portieri dell'Ascoli con cui avevo lavorato nove anni fa alla Scafatese. Vincemmo il campionato di Seconda Categoria. Io allenavo, lui tornava a Scafati dopo tantissimi anni e stava per concludere la sua carriera da calciatore".
Torniamo ai ricordi azzurri: come fu la fase di transizione dopo il fallimento del 2004?
"C'era da ricostruire un intero settore giovanile e io iniziai a dare un apporto fattivo "regalando" alla nuova società tutti i giovani che erano stati con me fino a qualche mese prima. Ricordo ancora le riunioni al Palazzetto dello Sport a Cercola con i genitori dei ragazzi ai quali illustrai i miei progetti. Decidemmo tutti insieme di intraprendere questo viaggio. Avevo già sei anni di esperienza e, con Naldi presidente, ero diventato responsabile del settore non agonistico. Spesso si parla tanto della mancanza dei palloni quando si crea una nuova società: bene, io ne comprai 100 per le nostre esigenze. Anticipai le spese e non fui mai rimborsato, ma non è mai stato un problema. Ne è valsa la pena. Mi sono tolto le mie soddisfazioni, molti ragazzi hanno preso il volo, penso a Insigne, Maiello o Sepe. Altri non ce l'hanno fatta ma ci sono andati vicini. Diciamo che ho fatto tutto il possibile per far crescere i miei ragazzi, abituandoli all'idea del sacrificio e ad una mentalità professionale. Finivamo gli allenamenti e volevo che alle 21 in punto facessero qualche seduta in piscina. Nuoto rigorosamente con pinne lunghe per rodare fatica e muscoli".
Qual è in questi casi la chiave del successo?
"La mentalità, appunto, prima ancora delle doti intrinseche. C'è un aspetto psicologico che fa la differenza e questo tanti allenatori dovrebbero capirlo, non limitandosi a puntare sulle qualità tecniche, che da sole non bastano. Oggi in alcuni giovani manca la voglia stessa di imparare, di mettersi a disposizione. Insigne, per esempio, ha fatto questa carriera strepitosa perché aveva la mentalità giusta per arrivare a certi livelli. Lui, oltre ad essere forte psicologicamente, ha regolato tutte le sue abitudini comportamentali intorno al calcio, finendo per condurre uno stile di vita sano e senza eccessivi svaghi nel privato. Per lui il calcio era già tutto, rappresentava il futuro nel quale inquadrarsi. Ho tanti ricordi che mi legano a Lorenzo, da un torneo in Piemonte nel 2007, categoria Allievi, a quando mi capitava di impiegarlo da difensore solo per farlo giocare e dargli minutaggio. E lui accettava con piacere pur di scendere in campo. Lorenzo, dal canto suo, deve tantissimo a Santoro, non solo ai tecnici che lo hanno avuto in gestione. A quel torneo arrivammo terzi giocando sotto età ed affrontando avversari stratosferici come Liverpool o Santos. Da allenatore, è uno dei ricordi più belli che mi porto dentro di questi 11 anni col Napoli. Ma sono tanti i tornei internazionali - oltre ai campionati con i Giovanissimi regionali, qualcuno pure sotto età - ai quali ho partecipato e vinto coi miei ragazzi. Penso ai tornei di Gavardo, Airola o Castel San Giorgio".
Chi avrebbe potuto fare di più?
"Mi vengono in mente Pistone, Ammendola, Diana, Morra e D'Alterio. Avevano qualità fuori dal comune. Anche Emanuele Esposito avrebbe meritato di sicuro categorie superiori a quelle nelle quali si è cimentato. E' un giocatore straordinario, pieno di inventiva e fantasia. Oggi a Picerno è considerato un Re e tutto sommato sono contento per lui".
Da Ferlaino a De Laurentiis: quali sono state le differenze gestionali nella conduzione del settore giovanile?
"Il miglior "organizzatore" è stato Corbelli. Avevamo 11 squadre e c'era un occhio sempre vigile al vivaio. Lui ci teneva molto, come lo stesso Naldi che era molto presente nelle nostre attività. Voleva sapere tutto e si informava. Ricordo con piacere un aneddoto risalente proprio alla sua gestione: una volta fu organizzato un evento benefico con un orfanotrofio di Afragola. Inviammo i nostri pullman a prelevare questi ragazzi e ho ancora impressa nella mente la loro gioia spontanea, incontenibile, genuina. Avevamo regalato un momento di felicità a questi nostri figli più sfortunati. Ci sono tanti modi per blindare un certo senso di appartenenza, senza il quale non si va da nessuna parte. Uno di questi è aumentare le occasioni di incontro tra i ragazzi e i calciatori della prima squadra. Io, per esempio, ne ricordo uno molto bello e formativo con Stellone. Con De Laurentiis tutto questo è durato poco, qualche contatto tra le due realtà c'è stato solo inizialmente. Alla fine lui ha palesato il suo scarso interesse per il settore giovanile".
E come è maturata la separazione dal Napoli?
"Visioni diverse, era finito un percorso. Bisogna capire per tempo quando è il momento di dire basta. Tuttavia sono sempre stato un tifoso del Napoli, sin da bambino. Ho amato a dismisura questa maglia e far parte del Napoli è stato anche un po' il coronamento di un sogno. Ma non sono rimasto fermo: sono transitato per l'Avellino dei Pugliese, prima del fallimento, e poi ho diretto gli Allievi della Nocerina quando era in B. Di Scafati abbiamo detto ed è stato bellissimo anche lì. Ora questa bella avventura col club della mia città".
Tanti anni da allenatore, ma una carriera da calciatore che forse si è interrotta troppo presto.
"Sì, mi sono fermato a 28 anni per ragioni personali. Svolsi la funzione di allenatore-giocatore della Viribus Unitis in Prima categoria, passando poi ad allenare nel settore giovanile. Per me si trattava di un ritorno perché, da minorenne, a Somma avevo vinto la Coppa Campania quando facevamo la Promozione. Io ero un jolly difensivo, agivo un po' in tutti i ruoli nel reparto. Il primo ricordo è legato ovviamente alla Vollese, dove vinsi il campionato di Seconda categoria. Quindi il matrimonio storico col Campania Ponticelli, che mi convinse nonostante avessi superato un provino con la Roma e stessi per accasarmi nella Capitale. Era il 1978 e fummo promossi subito in D, in seguito fui girato in prestito alla Sibilla in Promozione e successivamente all'Irpinia del Commendatore Sibilia in D, con cui vinsi il campionato Berretti nel 1981, l'ultimo della categoria prima che fosse riservato solo a squadre di A, B e C. Quindi tornai due anni al Campania prima di essere mandato nuovamente in prestito ad Angri e Battipaglia in D. Insomma, mi sono divertito tanto. E devo essere grato soprattutto a quegli anni trascorsi da tecnico alla scuola calcio Demetrio Stratos, con cui ho vinto due campionati Esordienti arrivando in seguito terzo con gli Allievi. E' stata un'avventura che ha costituito il mio trampolino di lancio per arrivare al Napoli. Avevo capito che coi giovani ci sapevo fare e che potevo insegnargli tanto. Riuscivo a farmi ascoltare e loro carpivano molto da me".
E ora si inizia da dove si è lasciato.
"Decisamente. Ed è solo l'inizio.... Forza Cercola!".
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