ll Re Leone non ha alcuna intenzione di posare lo scettro. Alla soglia dei cinquant'anni, Sossio Aruta ruggirà ancora. Un nuovo salto carpiato (l'ultimo?) dalla tv dei reality, orgoglioso finalista al Grande Fratello Vip, ai campi di calcio. La nuova avventura si chiama Madrigal Casalnuovo, campionato regionale di Promozione campana. "Ma la categoria non conta", dice. "Contano, piuttosto, voglia e passione. E io ho un obiettivo da raggiungere: 400 gol in carriera, mica bruscolini. Sono fermo a 380, se mi alleno sotto il sole cocente di settembre è perché, in fondo, vedo il traguardo. Soltanto dopo attaccherò le scarpe al chiodo. Forse".
Corre tra adolescenti che coltivano il sogno del grande salto nel calcio che conta: potrebbe essere il papà di molti di loro, questo vecchietto dal fisico asciutto e dagli occhi ancora spiritati, che guarda al lontano Giappone ispirandosi a Kazuyoshi Miura, anni 53, il calciatore più anziano nella storia del calcio professionistico.

Molti dei futuri compagni di squadra del Casalnuovo neanche erano nati quando lui approdava in serie B con il Pescara ("L'emozione più bella della mia carriera", confessa), il difficile sarà convincerli che il Re Leone è ancora in grado di ruggire. Sul rettangolo verde, mica solo sul piccolo schermo. "L'età è solo un numero, ne sono convinto, ma solo un pazzo poteva credere che a 49 anni suonati (ne compie 50 il 19 dicembre, ndr) io possa ancora giocare. Quel pazzo è Emiliano Amata, il direttore sportivo. Ci aspetta un bel campionato. Avevo altre richieste, sapete? Con una compagna di Taranto, giocare nel Napoletano sarà un bel sacrificio: viaggerò tanto, spesso mi fermerò da mia madre a Castellammare di Stabia". l segreto della longevità calcistica? "Non ho avuto grandi infortuni, tutto qui. E ho fatto il professionista a prescindere dalla categoria. Oggi uso testa ed esperienza, sono una prima punta. E faccio correre gli altri". Gli altri, appunto. Da quando ha iniziato, il calcio è cambiato. "In peggio, decisamente. E non cambierei nulla di questo mondo rispetto a quello nel quale sono cresciuto. Una volta noi portavamo la borsa con orgoglio dei veterani, questione di rispetto e di gerarchie. Oggi i ragazzi crescono con la presunzione di chi fa incetta su like su Instagram e TikTok. Una volta giocavi perché eri bravo, oggi giochi se le regole ti obbligano a schierare un giovane, un Under. Una volta giocavamo per strada a piedi scalzi e a carte tra compagni di squadra durante le trasferte. Oggi le strade sono deserte e i calciatori si chiudono a riccio con la musica nelle orecchie e il capo riverso sugli smartphone. Il calcio è condivisione, mica individualità. E oggi capita che quando do consigli ai giovani mi mandino a quel paese. Poi ci stupiamo se i fenomeni sono sempre di meno".Lui fenomeno lo è stato, però, soprattutto fuori dal campo. Savoia e Taranto, Benevento e Fermana, Ascoli e Frosinone (con annessa squalifica di 8 mesi per rissa), fino all'esperienza nel Cervia, con il reality "Campioni, il sogno", allenatore Ciccio Graziani, stagione 2005-2006. "Quell'avventura mi ha cambiato la vita. Ho vissuto un boom di popolarità e ho conosciuto la mia ex moglie, sono diventato personaggio (preso spesso di mira dalla Gialappa's peraltro, ndr) e se ancora oggi mi riconoscono è perché ho iniziato una sorta di percorso parallelo, in televisione. Se ho rimpianti? Certo, avrei potuto fare di più e forse ho pagato il mio carattere fumantino, che mi ha impedito di arrivare a certi livelli. Sono stato poco aziendalista, non ho mai finto, non ho peli sulla lingua. Sono sempre stato me stesso in un mondo in cui è meglio essere ipocriti. Se fingi di essere santo, fai carriera: non importa se tu lo sei per davvero. Qualcuno mi ha paragonato a Cassano e o a Balotelli, ma in realtà penso di essere un tantino meno ignorante di loro. Certo è che se mi avessero giudicato solo per come giocavo, sarebbe andata diversamente chissà. Ma lo sapete che a 40 anni ho esordito in un turno preliminare della Champions League, con la maglia del Tre Fiori, una squadra di San Marino? Qualcosa l'ho fatta, ecco. Credo che nel calcio come nella vita siano le motivazioni a fare la differenza. A me hanno insegnato che l'importante è vincere, non partecipare. Così non concedo nulla, neanche una partita a scopa. Un mio pregio? Sono stato tra i pochi attaccanti che menavano i difensori, quando di solito accade il contrario. E mi hanno chiamato Re  Leone più per la mia grinta che per i capelli lunghi, un marchio di fabbrica (oggi li porta corti, però, ndr). I miei maestri? Maurizio Viscidi a Pescara, Ivo Iaconi a Taranto e Fermo. Ma devo molto a Joe Spartano e Guglielmo Ricciardi: avevo sei anni, giovanili dello Stabia. Mi insegnarono a smarcarmi per ricevere palla e compresi che il calcio è intelligenza e geometria. Oggi queste cose non le insegna più nessuno".

Sossio Aruta  scalpita. "Mi daranno del vecchietto, ma farò parlare il campo. Come sempre", dice. Ha una ventina di gol da segnare, lo deve a se stesso prima di puntare a un altro obiettivo - il calcio e la televisione, chi l'ha detto che non si può - chiamato "L'isola dei famosi". "Sì, è un sogno nel cassetto. Amo il mare, mi piace pescare, adoro sperimentare i miei limiti e procacciarmi il cibo da solo, credo sia un'esperienza da provare". Prima, però, parola al campo. Ancora una volta, alla soglia dei cinquant'anni.

Sezione: Storie / Data: Ven 18 dicembre 2020 alle 00:26 / Fonte: La Repubblica
Autore: Antonio Vistocco
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