Una infinità di emozioni, c’era una volta un Napoli che non ne regalava più, tant’è che si aveva la sensazione di giocare a porte chiuse ben prima che iniziasse l’emergenza coronavirus e la necessità di contenere i contagi. Quello era il Napoli di Ancelotti, una squadra amorfa, insulsa, priva di una identità che scendeva in campo con il solo obiettivo di rimediare una figura barbina dietro l’altra. Visto il precipizio al quale ci si approssimava, era inevitabile un ribaltone, fosse arrivato un poco prima, probabilmente la squadra sarebbe ancora in corsa per il quarto posto. Gennaro Gattuso ci ha messo qualche partita per capire come modellare il suo Napoli, poi ha impiegato poco tempo per renderlo coriaceo e cinico, come lo sono le squadre italiane che si sono sempre fatte valere nella storia. Così, in Coppa Italia, sono state eliminate Lazio e Inter arrivando alla finale di Roma contro la Juventus.

Da una parte c’era tanta fiducia in questo “nuovo” Napoli che non ha mai deluso, neanche quando si è ritrovato di fronte i campioni del Barcellona, che hanno accolto un pareggio al San Paolo esultando come se avessero già vinto la Champions. Dall’altra parte ci si chiedeva se la Juve avrebbe mai potuto perdere la seconda finale consecutiva dopo la Supercoppa di dicembre contro la Lazio. Sarebbe stata la seconda sconfitta per Sarri, ma poi uno come Cristiano Ronaldo poteva mai accettare di vedere ancora una volta gli altri festeggiare? La partita andava giocata, nella consapevolezza che nessuna delle due avrebbe mai potuto sfoggiare tanta brillantezza, però entrambe partivano sullo stesso piano, almeno dal punto di vista atletico, perché a livello tecnico era innegabile la maggiore competitività dei bianconeri. Anche a fronte di tale consapevolezza, ci si domandava se il Napoli sarebbe riuscito a battere Madama per la seconda volta consecutiva dopo averlo fatto in modo netto e autorevole in campionato.

In campo non c’è stata una prevalenza dell’una sull’altra, Cristiano Ronaldo ha messo paura a Meret ad inizio gara dopo un disimpegno sbagliato di Callejon, poi le occasioni migliori sono state di marca partenopea. Basti pensare al palo di Insigne su punizione, al miracolo di Buffon su Demme, al salvataggio quasi sulla linea di Alex Sandro, all’occasione clamorosa fallita da Milik nella ripresa, al palo di Elmas nel recupero. Tutti sono concordi nel ritenere che il Napoli meritasse di vincere ancor prima dei calci di rigore, durante i quali i primi due della Juve sono stati decisivi. Dybala si è fatto ipnotizzare da Meret, mentre Danilo ha tirato alto, nel Napoli esecuzioni perfette di Insigne, Politano, Maksimovic e Milik, il polacco ha segnato quello decisivo. In questa Coppa Italia ci sono i guanti sia di Ospina, che al ritorno contro l’Inter si è erto a protagonista con parate straordinarie propiziando l’azione che ha portato al gol di Mertens, che quelli di Meret, sempre preciso e puntuale nei 90’, sebbene sollecitato poco, per poi neutralizzare Dybala dal dischetto.

È curioso pensare che, con ogni probabilità, il forte estremo difensore friulano non avrebbe manco giocato se Ospina fosse stato disponibile, evidentemente ci sono cose già scritte, come se nel calcio ci fossero eventi predeterminati. Per la piega che aveva preso l’annata, nessuno si sarebbe mai immaginato che il Napoli potesse arrivare già solo in finale, figurarsi vincere addirittura la competizione contro l’acerrima rivale, che con Sarri in panchina non ha quasi mai convinto. La Juve collezionerà anche scudetti, ma nelle quattro finali in cui ha incontrato il Napoli negli ultimi anni, tre volte si sono imposti gli azzurri, mentre in una occasione, a Pechino per la precisione, si è avuta la netta sensazione che qualcuno volesse seriamente indirizzare il risultato.

Peccato che questa finale, il primo trofeo post-covid, si sia giocata in assenza di pubblico, ma ciò non ha impedito a milioni di tifosi di trepidare davanti al televisore. Per una serie di motivi, ci si ricorderà a lungo di questa Coppa Italia, faranno altrettanto i giocatori che, dopo tre mesi di quarantena, sono subito scesi in campo per giocarsi gare decisive. Per questo era sempre azzardato lanciarsi in pronostici, tante erano le incognite legate alla condizione atletica e allo stato emotivo. Si pensava che la Juve potesse contare sul piccolo di vantaggio di aver riposato un giorno in più e di aver dosato le forze contro un Milan incapace di rendersi pericoloso. Il Napoli, invece, aveva sofferto l’indicibile contro l’Inter, ma per qualcuno poteva rappresentare un fattore positivo il fatto di essersi calati subito nel clima partita.

La differenza l’ha fatta Gattuso, che ha convinto i giocatori dell’importanza di dare cuore e anima in campo, non è un caso che, a giochi fatti, tutta la squadra abbia portato in trionfo il suo allenatore. Il tecnico calabrese è stato colpito da uno di quei lutti da cui non ci si riprenderà mai del tutto, proprio per questo gli serviva vivere una notte come quella del 17 giugno, una data che non dimenticherà più. Il suo primo trofeo da allenatore, ottenuto ruggendo contro tutte le migliori, nessuno avrebbe mai pensato che il Napoli potesse rendere indimenticabile una stagione che si stava rivelando irrimediabilmente infausta. Gattuso è ritornato in città alzando la Coppa, tanti tifosi per strada, tanta gioia, quell’estasi bisognava condividerla, anche per godere di quella libertà negata per tre mesi. Se deve essere sempre il buonsenso a prevalere, si è pregati di non fare polemica, una volta che si autorizza a giocare una finale, non ci si può scandalizzare se la gente festeggia per strada.

Sezione: Storie / Data: Dom 21 giugno 2020 alle 16:00
Autore: Maurizio Longhi
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