Renato Cioffi è un tecnico che, nella sua carriera da allenatore, qualcosa ha dimostrato. Cosa ha dimostrato? Basterebbe farsi una passeggiata a Sorrento e chiederlo a qualche tifoso rossonero, non è da escludere che si commuova ricordando quell’epopea. Il tecnico irpino, appena si insediò in costiera, vide gli spalti vuoti, si girò verso il suo collaboratore dicendogli: “Vedrai che questo stadio non riuscirà più a contenere i tifosi”. Detto, fatto. Il “Campo Italia” tracimava passione in ogni occasione, perché il Sorrento targato Cioffi prese l’ascensore salendo dalla D alla C1 gettando le basi per sognare addirittura l’approdo tra i cadetti. Mister Cioffi è un tecnico che si è fatto così apprezzare in Campania da attirare le attenzioni di tante società di prestigio, in piazze che hanno fatto la storia del calcio italiano. Ha allenato il Mantova, in una realtà che ha fatto tanto parlare di sé da entrare nella leggenda. Era la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60 quando Mondino Fabbri si issò ai ponti di comando di una squadra che compì un miracolo sportivo sensazionale passando dalla D alla A. Quel Mantova fu definito “il Brasile d’Italia” e il suo allenatore fu chiamato alla guida della Nazionale italiana. Per sostituire il neo Ct dell’Italia, il Mantova scelse un’altra leggenda: Nàndor Hidegkuti. Il quale aveva fatto parte della Grande Ungheria della stella Puskàs, quest’ultimo scendeva in campo per miracol mostrare, ma il cecchino era Hidegkuti che si ritrovò centravanti per caso. Era un’ala destra con il problema di non riuscire a gestire le pressioni, alla vigilia di una partita sapeva di non dover giocare, era convinto di andare in tribuna e solo pochi minuti prima gli fu detto di cambiarsi perché avrebbe dovuto giocare da prima punta.

Non ebbe il tempo di avere soggezione, realizzò una doppietta e da lì in poi diventò il bomber di quella Nazionale devastante. Allorché mister Cioffi è giunto a Mantova, sapeva di avere alle spalle una illustre e nobile discendenza e, a tal proposito, lui ci confessa un’altra curiosità: “Dopo tre mesi che ero a Mantova uscì su un quotidiano nazionale come La Repubblica un articolo che mi riempì d’orgoglio in cui fui paragonato a Gustavo Giagnoni, un grandissimo allenatore che ha scritto una bellissima pagina di storia del club biancorosso. Un accostamento che mi fece impallidire”. Gustavo Giagnoni, il tecnico con il colbacco, arrivò a guidare il Mantova alla fine di quegli splendidi anni ’60 per il calcio virgiliano riportando la squadra nel massimo campionato. L’esperienza di mister Cioffi a Mantova non è stata lunga ma parimenti intensa e gratificante, per i motivi che ci racconta: “Ero stato chiamato dalla società dopo un fallimento, mancava tutto, si ripartiva da zero. Fu costruita una squadra in fretta e furia, tant’è che fu impossibile creare un affiatamento per l’inizio del campionato e, dopo le prime tre partite, avevamo zero punti. Ci si poteva avvilire ma io ero convinto di poter trarre tanto di buono da quella squadra, infatti a novembre ci trovammo a due punti dalla prima, una netta inversione di tendenza. Avevamo trovato la quadratura del cerchio, si veleggiava con il vento in poppa prima che fu smantellata la squadra, a quel punto ogni ambizione diventò una mera velleità, fummo costretti a ridimensionarci e, nonostante tutto, chiudemmo il campionato al quarto posto dietro la Virtus Verona che vinse il girone e Arzignano e Campodarsego che avrebbero festeggiato entrambe l’anno successivo. Proprio l’anno successivo, quando non ero più io l’allenatore, il Mantova passò nelle mani di patron Setti e, naturalmente, il futuro diventò molto più luminoso. Dopo un secondo posto, quest’anno i virgiliani hanno festeggiato il ritorno nel professionismo, sono contentissimo perché se lo merita soprattutto la piazza che trasmette lo stesso calore che c’è al Sud, ho avuto modo di constatare come la tifoseria viva la squadra h24. Poi la soddisfazione più grande è aver letto degli attestati di stima da parte di molti tifosi, che mi ringraziano per quello che ho dato in quell’anno pieno di difficoltà sostenendo che lì si sia iniziato a seminare quanto raccolto adesso”.

Mister Cioffi ha allenato anche a Rimini, in una realtà che ha conosciuto fasti gloriosi, poco più di una decina d’anni fa la compagine romagnola conquistava la cadetteria mettendosi alle spalle delle fuoriserie come Avellino e Napoli. Quella che lui ha rilevato era una situazione molto particolare prima che quell’esperienza giungesse anzitempo al capolinea, anche con un altro tecnico la situazione non è migliorata culminando con una retrocessione sulla quale il tecnico di Cervinara esprime la sua: “Ritengo che sia ingiusta, al dispiacere personale, si aggiunge la sensazione beffarda di una retrocessione arrivata ancora con tante giornate di campionato da disputare e con uno scenario suscettibile di cambiamenti. Se devo parlare della mia avventura, credo di aver subito una ingiustizia perché ho lasciato una squadra a tre punti dalla salvezza diretta mentre, al momento dello stop, era in fondo alla classifica. Nonostante una serie di interventi in sede di campagna acquisti, la squadra non è riuscita a riaversi impantanandosi all’ultima posizione pagando dazio con questa retrocessione che, ripeto, è una clamorosa ingiustizia. Come è una ingiustizia questa regola, vigente solo in Italia, per cui chi allena una squadra non può allenarne un’altra nella stessa stagione”. Una limitazione che, però, non ha impedito al tecnico cervinarese di ritornare in sella ad una squadra, ma stavolta di un altro Stato, quello di San Marino, dove alla guida del Faetano ha vissuto quella che si può definire una favola calcistica, anche se rimasta incompiuta a causa del covid-19. Mister Cioffi ci fa entrare in una realtà totalmente nuova: “Prima di parlare di quanto fatto al Faetano, è bene spiegare come funzioni il campionato a San Marino. Ci sono 15 squadre raggruppate in due gironi, uno da 8 e l’altro da 7, al termine dei quali le prime quattro vanno a formare un girone da 8 chiamato Q1 e le restanti un altro denominato Q2. Poi si qualificano ai play off le prime quattro del Q1 e le prime due del Q2. Sono stato chiamato dal Faetano dopo la prima fase, con la squadra ritrovatasi nel Q2, con sei vittorie e un pareggio abbiamo chiuso il girone al primo posto e ci apprestavamo a giocare gli spareggi nei quali ci si gioca i preliminari di Champions e di Europa League. Peccato che sia rimasto tutto sospeso a causa della pandemia, la situazione si era fatta davvero intrigante. Se mi si chiede il livello del campionato, lo paragonerei ad una serie D italiana ma, considerando la disponibilità finanziaria di alcuni club, potrebbero crescere gli investimenti e anche il livello di competitività generale. Dalla prossima stagione, per esempio, cambierà il regolamento, non ci saranno più due giorni bensì un unico campionato da 15 squadre, è comunque un ambiente in evoluzione. Poi ci sono presidenti seri e professionali, puntuali nei pagamenti, in un certo senso un po’ tutti dovremmo prendere esempio da come si lavora a San Marino. Ringrazio il presidente che vorrebbe riconfermarmi e per avermi fatto conoscere questa bella realtà, ma adesso la mia intenzione è quella di ritornare in Italia”.

Ogni esperienza è fonte di arricchimento, soprattutto se permette di conoscere il modo di fare calcio lì dove lo si fa con il desiderio di crescere. Adesso è arrivato il momento di guardarsi intorno, aspettando una chiamata alla quale si possano aggiungere un bel po’ di nuove motivazioni: “Mi piacerebbe restare in Campania con un progetto serio, e non vedo perché non farlo in Lega Pro, categoria in cui ho allenato di recente con il Rimini in una situazione molto particolare. Al di là dell’ambizione, sicuramente la categoria non è tutto, l’importante è che ci sia una programmazione chiara e la serietà da parte di chi deve fare delle scelte”. Continuando a parlare di allenatori, ce n’è uno salito alla ribalta nelle ultime ore: Gennaro Gattuso. Si è fatto le ossa in campioni “minori” come quello svizzero e greco, ora sta raccogliendo i frutti di quanto seminato prendendosi la soddisfazione di sostituire Carlo Ancelotti, il suo maestro, alla guida del Napoli andando a vincere la Coppa Italia nella finale contro la Juventus. Mister Cioffi l’ha conosciuto bene e, al termine della finale di Roma, gli ha dedicato un post allegando la foto che li ritrae insieme: “Faccio i complimenti a Rino, è un grande allenatore, determinato, scrupoloso e si commette l’errore di associarlo al giocatore che faceva della grinta la sua arma migliore. Da allenatore è uno responsabile, volitivo, ambizioso, cura tutto nei minimi dettagli. Ho fatto il corso con lui a Coverciano frequentandolo per un anno e poi l’anno scorso sono andato a trovarlo una settimana a Milanello, ho visto come lavora e sono rimasto impressionato. Finora aveva lavorato sempre in situazioni delicatissime riuscendo ad ottenere risultati importanti, lo si può fare solo quando si ha nel sangue la cultura del lavoro. È un uomo vero, ha a cuore anche che tutti i suoi collaboratori siano sereni, una sensibilità che ha solo chi viene dalla gavetta e poi il suo cuore meridionale rappresenta un valore aggiunto. Gli auguro le migliori fortune, penso che lui e Simone Inzaghi siano gli allenatori del futuro e lo stanno dimostrando con i risultati. Faccio i complimenti a Gattuso anche per come ha preparato tatticamente la finale contro la Juventus, un lavoro da applausi che è stato premiato con una grande prestazione che ha depotenziato i bianconeri e permesso al Napoli di creare i maggiori pericoli per poi aggiudicarsi con merito il trofeo”.

Gattuso allena in Campania ma come nocchiero del Napoli, la squadra che rappresenta la regione in Europa, poi ci sono tanti tecnici campani che, nelle serie minori, sperano di assurgere ai livelli del loro collega di Corigliano Calabro. Cioffi è un tecnico esperto, gli chiediamo cosa si debba fare per valorizzare maggiormente la figura dell’allenatore: “Bisogna ritornare a qualche anno fa, quando l’allenatore era una guida autorevole e rispettata da tutti. Adesso, a costo di usare un termine forte, mi guardo intorno e vedo una tendenza alla prostituzione che attecchisce soprattutto quando si incontra con quei presidenti inesperti e che, conoscendo poco l’ambiente, si fanno abbindolare. Ci si deve guadagnare la fiducia per meritocrazia, non perché si abbia la faccia tosta di proporsi delegittimando i colleghi. Una proprietà deve conoscere l’allenatore al quale affida la squadra, deve sapere cosa è in grado di dare, le sue metodologie di lavoro, la sua capacità di trasferire determinate idee, il suo modo di approcciarsi anche con la stampa, sono tutti aspetti che una società deve prendere in considerazione nel momento in cui sceglie un tecnico. Poi si deve uscire da questa concezione che vede sempre nell’allenatore l’anello debole di un organigramma, se i risultati non sono positivi è il primo a pagarne le conseguenze, ma se è questa la linea allora deve essere il primo a prendersi i meriti quando le cose vanno bene. Si parla tanto anche degli esoneri senza contestualizzarli, ci sono delle situazioni in cui si deve andare oltre se stessi e non sempre ci si riesce, magari si fa un lavoro encomiabile, che in pochi riescono a fare, ma il destino è legato ad un episodio. Ogni lavoro non può restare avulso dal contesto, questa superficialità non la si può avere perché ci si crea delle visioni parziali di una persona. Sarei contrario anche alle dimissioni pur essendo tra i pochi ad averle date anche quando, penso all’esperienza di Caserta, avevo portato la squadra a ridosso della prima in classifica. Sono uno che, appena vede cose storte, non si fa tanti scrupoli nel salutare senza tenere conto di quanto sia penalizzante sotto tanti punti di vista. Poi, anche qui parlo del mio modus operandi, cerco di tenere sempre un rapporto empatico con ogni singolo giocatore e di entrare nella testa di ciascuno. Va detto che ci sono differenze abissali tra il professionismo e il dilettantismo: nel primo scenario ci si trova a che fare con giocatori per i quali si dovrebbe avere una certa garanzia circa la loro professionalità, mentre tra i dilettanti è facile che ci siano giocatori che lavorano, non sempre si rispettano i patti sulle spettanze economiche, in questi casi un allenatore deve essere un fratello maggiore e un padre per i più giovani. Tenendo conto di tutti i problemi a cui spesso e volentieri un allenatore deve far fronte, è da considerarsi un tuttologo, oltre all’aspetto tecnico-tattico c’è molto altro su cui deve intervenire per evitare che deflagrino situazioni spiacevoli”.

La chiusura di questa lunga intervista la riserviamo ad una curiosità che, però, fa emergere temi interessanti e sui quali è bene porre l’attenzione. Chiediamo al tecnico di Cervinara la differenza tra allenare in Campania e in altre regioni: “Altrove non hanno i problemi legati alle strutture che ci sono nella nostra regione, è fondamentale riuscire ad avere a disposizione impianti adeguati in cui lavorare. Vedo anche in altre regioni più rispetto tra gli addetti ai lavori, non capita che un allenatore senza squadra vada a proporsi denigrando un collega con mezzucci figli di ostruzionismo, invidia e volontà di creare un clima da tutti contro tutti. Proporsi a scapito di un collega è una delle cose più meschine che possa fare una persona, così come è eticamente discutibile dover far parte di un determinato giro per avere maggiori chance di allenare. Poi mi sono sempre chiesto perché molti talenti emigrino altrove facendo le fortune di club di altre parti d’Italia, ho trovato la risposta in queste mie esperienze extraregionali. È una questione di professionalità, anche qui bisogna permettere a tutti di lavorare serenamente, senza che i giocatori debbano pensare a problemi esterni da quelli legati al rettangolo di gioco, ho troppo a cuore le sorti del calcio campano per essere indifferente ai problemi che l’attanagliano”.

Sezione: Interviste / Data: Ven 19 giugno 2020 alle 16:16
Autore: Maurizio Longhi
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