L'ultima volta che si era congedato dalla Frattese, cinque anni fa, fu per supportare la ricostruzione del Savoia in Eccellenza, dopo il crac del vecchio club che aveva disputato la Lega Pro. La società nerostellata aveva già deciso di voltare pagina affidandosi a Stefano Liquidato, peraltro uno dei papabili in questi giorni per raccoglierne il testimone. Di sicuro non si può dire che la storia d'amore quasi decennale tra Teore Grimaldi e la Frattese non sia stata talmente passionale ed intensa da sfociare in stati d'animo spesso contraddittori e contrastanti. Tuttavia nel calcio bisogna ripartire senza indugi, perché non ci si può mai permettere di tenere unite la sfera emotiva con quella razionale. "Sono pronto e carico per riprendere il cammino. E posso tornare ad essere solo un tifoso della Frattese. So di avere qualche estimatore, non mi resta che attendere", l'incipit ai nostri microfoni del tecnico di Frattamaggiore. 

Questa ennesima separazione non se l'aspettava proprio nessuno... 

"Non ci siamo accordati sull'aspetto economico. Si sa che i matrimoni si fanno in due. Ovviamente, trattandosi della squadra della mia città, non avrei potuto chiedere la luna e non l'ho fatto. Ma il calcio è fatto anche di queste cose. Dispiace, ma faccio un grande in bocca al lupo alla Frattese, della quale resterò sempre tifoso e alla quale auguro un futuro di successi. Sono nato con la Stella e, fin quando ho potuto, ho dato il massimo per portare in alto questi colori".

A maggio il club aveva ufficializzato la sua permanenza. Anche questo ha colto tutti di sorpresa.  

"In realtà si trattava di un'intesa ufficiosa. Forse ci voleva maggiore cautela, anche perché quella della riconferma era solo un'idea e nulla più. Tuttavia ho percepito ben chiare le ambizioni del club e ho avuto anche modo di confrontarmi più volte col Ds Cavaliere, col quale era nata una buona sintonia. E' stato piacevole per me constatare come le nostre idee combaciassero. Ecco, se ho un rimpianto è quello che insieme avremmo potuto fare grandi cose".

Il presidente Guarino ha parlato di "differenze di vedute" e di "caratteri forti" e, quindi, inconciliabili. Cosa si sente di replicare?

"Per fortuna, il Signore mi ha dotato di una mente pensante. Ognuno di noi ha una sua personalità, poi ci sta chi ce l'ha più spiccata e chi meno. Se avere un carattere forte significa pensare, decidere e scegliere in autonomia nell'ambito ovviamente del proprio ruolo, allora ce l'ho e me ne vanto. Ma c'è soprattutto un aspetto che voglio sottolineare: a Fratta mi sento di avere una responsabilità doppia. Sono consapevole che, se le cose vanno bene, tutti salgono sul carro del vincitore. Se vanno male, è l'allenatore che paga. Nel mio caso, essendo frattese, è a me che viene chiesto conto dei mancati risultati o di un progetto che può vacillare. In sostanza, se ci fossero state delle difficoltà, avrei pagato anche per altri. Ma sia chiaro: sarei stato anche disposto a questo. E' una responsabilità che non mi fa paura anche perché ho sempre messo la faccia in tutte le cose che ho fatto. Tuttavia, dopo diversi anni trascorsi in questo mondo, ho raggiunto anche la consapevolezza che prendersi delle responsabilità deve andare di pari passo con l'ottenimento di garanzie ben precise. Altrimenti si crea un corto circuito che rovina tutto".

Allenatori e direttori sportivi: figure spesso precarie e svilite nel calcio odierno. 

"Io faccio l'allenatore per mestiere, vivo di calcio. E questo lavoro sono abituato a farlo con serietà e totale dedizione, nel massimo rispetto delle prerogative delle società ma senza mai svendermi o propormi. Ho avuto una fortuna in questa avventura: sono partito dai settori giovanili e poi mi sono costruito un percorso avendo l'onore di confrontarmi con dirigenti veri, competenti, non personaggi che lasciano il tempo che trovano. Chi nasce "settorista", si porta dietro la classica mentalità dell'uomo di campo, che lavora duro e sa che deve assumersi degli oneri se vuole anche gli onori. Oggi tutto questo è difficile in quanto è raro trovare i dirigenti e i presidenti di un tempo. Ma io non sono uno di quelli che va in ansia se non lavora, so aspettare il momento giusto. Ed è saggio essere pazienti perché ciò che conta più di tutto è la condivisione di un progetto, l'unità di intenti, il rispetto dei ruoli, l'etica, la chimica tra persone che lavorano insieme. Accettare di tutto pur di lavorare, e poi imbattersi inevitabilmente in problemi di ogni tipo, alla lunga è deleterio. Mi è capitato di sbagliare, poi ho imparato. E un errore simile non lo commetterò mai più. Nel calcio ci sono troppe persone senza competenze che riescono misteriosamente ad incidere in alcune decisioni societarie. Oggi tutti vogliono essere in vetrina e apparire, sbandierando conoscenze che in realtà non hanno". 

Il suo secondo addio alla Frattese pare non abbia lasciato indifferenti i tifosi...

"Parliamo della mia gente. Queste testimonianze di affetto e vicinanza mi hanno commosso perché hanno coinvolto l'uomo oltre che l'allenatore. Ho sentito tutto il loro sostegno, sia via social sia da vicino. Ringrazio ognuno di loro con tutto il cuore. Ora è il momento di sostenere Ambrosino che è un amico che stimo sotto tutti gli aspetti".    

La sua ex Turris è in C dopo 19 anni. 

"E' stata la vittoria di una società solida, che mantiene gli impegni. Al giorno d'oggi è una condizione importante per fare calcio. Sono contento sia per il presidente Colantonio, che ha investito tanto in questi anni, sia per i tifosi, che meritavano questa soddisfazione: Torre del Greco ha una storia blasonata e gloriosa. E poi sono felice anche per quei ragazzi che ho voluto a Torre l'anno scorso e che hanno contribuito a questa scalata. Purtroppo la mia esperienza è durata poco ma mi ha arricchito molto. Resta, intanto, una prima collaborazione esterna in preparazione della finale play-out con l'Aversa, quando siamo rimasti in D giovandoci di una cornice di pubblico magnifica, che ha rispecchiato la passione di una città come Torre del Greco. Quindi la costruzione del gruppo successivo: avrei voluto portare a termine il lavoro iniziato, ma ho una mia lettura dei fatti che preferisco tenere per me dal momento che non sono uno abituato a riversare le responsabilità su altri per pulirmi la coscienza".  

Che bilancio fa dell'ultimo campionato a Fratta? 

"Sono tornato per una scelta di cuore. Avevo delle richieste e, se avessi aspettato un altro po', mi sarei accasato in serie D. I contatti c'erano. Diciamo che rientrare a Fratta è stata una decisione dettata dall'amore e dal fatto che la società era composta da persone perbene, peraltro amici d'infanzia. Mi è stato chiesto di costruire qualcosa di importante e ho subito accettato. Sul mercato abbiamo fatto scelte mirate perché si è preferito andare su giocatori con caratteristiche precise dopo aver operato diverse cessioni dolorose. Però abbiamo preso elementi di categoria superiore come Arario, Rizzo o Auriemma. Il bilancio, per quanto mi riguarda, è positivo. E questo è stato principalmente merito di un gruppo di ragazzi tra i migliori che io abbia mai avuto a disposizione, innanzitutto da un punto di vista umano. Ci è girato anche qualcosa storto con due pari all'ultimo secondo con Albanova, a causa di un rigore, e Marcianise, per un eurogol di Nando Castaldo. E' chiaro che si sarebbe potuto fare anche meglio, ma tutto sommato sono soddisfatto. Abbiamo tenuto testa alla Puteolana nello scontro diretto al ritorno, considerato che tra squalifiche ed infortuni eravamo praticamente ridotti all'osso contro la seconda della classe. La mia era una squadra in crescendo sotto l'aspetto sia atletico sia tattico, e sono certo che i play-off li avremmo disputati da protagonisti. Tatticamente ho cambiato spesso sistema di gioco, ma questo non ha creato mai squilibri. La squadra, con l'applicazione sul campo, ha imparato più principi di gioco interpretandoli alla grande. Si è detto tanto sulla gara di Pomigliano, ma non è stato tutto da buttare. Giocavamo contro una squadra guidata da un tecnico che l'aveva rigenerata profondamente, quello granata era un gruppo reduce da tante vittorie consecutive che esordiva al Gobbato davanti ad un pubblico straordinario. Il Pomigliano era in una forma smagliante. Noi poi perdemmo Costanzo durante il riscaldamento e fummo costretti a rivedere i nostri piani. E tutto sommato l'approccio fu soddisfacente, senza dimenticare pure un rigore solare negatoci. Qualche occasione per pareggiare o per rientrare in partita sullo 0-2, l'avemmo. A mio avviso, pur non assicurando una prestazione brillantissima, ce la giocammo alla pari". 

Il problema Coronavirus ha fatto emergere, qualora ce ne fosse bisogno, il tema dei diritti e delle tutele - oggi quasi inesistenti - dei calciatori dilettanti. Che idea si è fatta dell'argomento?  

"A mio avviso l'emergenza Covid-19 ha giovato all'80% dei presidenti dei club dilettantistici. Lo dico senza mezzi termini. Certo, giocatori e allenatori non hanno lavorato in quel periodo e non avrebbero potuto richiedere tutte le cifre pattuite. Ma un accordo si poteva e si doveva trovare. Molte società invece hanno sfruttato l'occasione per venire meno agli impegni. Noi tutti dovremmo essere più lungimiranti e pensare a tutelarci maggiormente, invece di guardare ciascuno nel proprio orticello. I giocatori stessi andrebbero protetti di più in queste categorie. Invece, in questo periodo di lockdown, si è discusso di tutto tranne che di riforme di questo tipo. È proprio nel mondo dilettantistico che si dovrebbe mettere mano in modo massiccio. La serie D, di fatto, è un campionato semiprofessionistico. Ma poi c'è l'Eccellenza, dove i giocatori sono comunque impegnati 5-6 giorni su 7. La differenza tra professionismo e dilettantismo sta solo nel trattamento economico, non certo nel lavoro, nei suoi tempi e nella sua tipologia". 

Sezione: Interviste / Data: Sab 13 giugno 2020 alle 09:30
Autore: Stefano Sica
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