Ha indossato le maglie numero 7 e numero 10 del Torino, quelle di Gigi Meroni e di Valentino Mazzola, insomma non esattamente le più ininfluenti della storia granata. Eppure di lui oggi esiste appena un vago ricordo, perché di strada, nonostante il talento, ne ha fatta purtroppo molto poca.Dante Bertoneri, nato a Massa il 10 agosto 1963, fisico magrolino, 1 metro e 75 di altezza; non un granatiere, ma quanto basta per farsi notare fin da ragazzino perché col pallone fra i piedi ci sa fare, ha estro e talento, inizia a giocare come centrocampista ma possiede tutte le qualità per agire qualche metro più avanti, da fantasista, da colui che illumina gli attaccanti e li manda a rete. 

Responsabile della Primavera del Torino di fine anni settanta è Sergio Vatta, uno specialista nello scovare e far crescere giovani e promettenti ragazzini che poi i granata lanciano nel calcio dei grandi. La scalata di Bertoneri è rapidissima e Vatta, dopo averlo visionato un paio di volte, lo chiama dalla Berretti e lo inserisce in pianta stabile in Primavera.Durante la settimana la squadra giovanile si allena e disputa partitelle con la prima squadra e Bertoneri mette sovente in difficoltà i difensori del Torino dei grandi che non sanno se essere contenti che il club stia allevando un talento simile, oppure se rammaricarsi per il mal di testa che viene loro dopo finte, dribbling e passaggi filtranti di quel ragazzino terribile. L’allenatore granata Ercole Rabitti inizia a portarlo sovente in panchina, poi il 18 gennaio 1981 lo fa esordire in serie A durante Torino-Ascoli: è un sogno che si avvera per il prodotto delle giovanili toriniste; Bertoneri in quella stagione gioca altre 5 partite più le due finali di Coppa Italia che il Torino (nel frattempo passato sotto la guida di Cazzaniga) perde contro la Roma e in città già in molti prospettano per il centrocampista toscano una carriera luminosa.Il campionato 1981-82 sembra essere quello della svolta per Bertoneri a cui il nuovo tecnico Giacomini dà estrema fiducia e lo schiera spesso e volentieri dal primo minuto; arrivano i primi gol in serie A contro Catanzaro ed Ascoli, gioca 23 partite sulle 30, oltre a tutta la Coppa Italia (con una rete rifilata alla Sampdoria al 90′) in cui i granata perdono ancora la finale, stavolta contro l’Inter. E la svolta, arriva, putroppo però in negativo e condizionata dal cambio di proprietà del club piemontese: al posto dello storico presidente Pianelli, infatti, il Torino passa nelle mani di Sergio Rossi che riorganizza l’organigramma societario chiamando come direttore generale e factotum Luciano Moggi e come allenatore Eugenio Bersellini.

Bertoneri inizia a giocare poco, soprattutto non parte quasi mai dal primo minuto, anche se i segnali che lancia sono incoraggianti perché quando entra a partita in corso è spesso determinante per le sorti della sua squadra. L’anno del militare passa in fretta e per Bertoneri, ormai quasi ventunenne, sembra arrivata l’ora di prendersi il Torino sulle spalle, o quantomeno di diventarne un punto fermo della formazione. Invece, poco prima dell’inizio del nuovo campionato, viene convocato in sede nell’ufficio di Luciano Moggi che gli prospetta un prestito in serie B al Cesena da cui i granata stanno acquistando l’attaccante austriaco Walter Schachner. Il modo di fare di Moggi è perentorio, ma Bertoneri non appare convinto: alle sue orecchie sono già arrivate voci dell’interesse di diversi club di serie A, preferirebbe non essere declassato in B, con tutto il rispetto del Cesena. Alla fine prevale la volontà del ragazzo che, nonostante le insistenze di Moggi, dice no al dirigente e al Cesena, si impunta e va sì in prestito ma all’Avellino in serie A.

In viaggio verso la Campania, Bertoneri si chiede per quale motivo il Torino non gli abbia concesso la fiducia che pensava di meritare, eppure è convinto che disputando un ottimo campionato ad Avellino possa guadagnarsi stavolta per davvero la maglia granata e non sfilarsela più di dosso. E il campionato con l’Avellino va effettivamente molto bene: 22 partite, 2 reti, voti quasi sempre alti sui giornali e la ciliegina sulla torta della salvezza degli irpini e degli occhi del commissario tecnico della Nazionale Enzo Bearzot che si posano sul talento nativo di Massa. In provincia di Avellino lo hanno conosciuto e apprezzato nei primi anni ottanta: parliamo della stagione di serie A 1983-1984. Giocava tornante. Ora, all’età di 50 anni, ha deciso di inventarsi badante. È la storia di Dante Bertoneri, calciatore in serie A, B e C1, che oggi si lancia in una nuova professione, decisamente al passo con i tempi. Bertoneri è, di fatto, il primo ex sportivo ad intraprendere questa insolita professione. Ha frequentato un corso, ha ricevuto l’attestato ed ora è pronto a far valere quel pezzo di carta “in qualsiasi momento”. “Mi resta qualche anno di contributi per arrivare alla pensione” – ha spiegato alla gazzettadiparma.it. Oggi vive nella sua città, Massa. Nel mondo del calcio lo ricordano con affetto i tifosi di Torino, Avellino con cui tra l’80 e l’84 ha giocato nella massima serie.

Il Torino gli volta del tutto le spalle, prima lo spedisce in prestito al Parma in serie B dove il centrocampista gioca poco e male, ancora scosso da un trattamento che non ha né capito e né tantomeno giustificato. In più, Bertoneri convive con qualche problema ad un ginocchio che lo fa correre poco e saltare di testa ancora meno; il tecnico del Parma Carmignani, però, si lamenta coi giornalisti dicendo che il ragazzo non vuole colpire il pallone di testa per paura di spettinarsi la folta chioma. ertoneri perde la fiducia in sé stesso e nel calcio, ma prova a continuare ripartendo da casa sua: nella stagione 1987-88 gioca infatti nella Massese in C2 dove contribuisce al primo posto e alla promozione dei bianconeri in C1, nonché all’ottimo settimo posto dell’annata successiva.

A salvarlo sono la Fede e le preghiere, la consapevolezza di non aver sbagliato nulla nella sua carriera, oltre ad una passione scoperta alla soglia dei 40 anni: la corsa. Bertoneri diventa un podista vero, comincia con qualche corsetta, si accorge che il fiato lo sostiene e allora fa sul serio, si iscrive alle maratone, poi si specializza su corse di breve durata, vince anche qualche premio, riscopre il gusto di fare sport, ringrazia quei polmoni che pompano aria come macchine e che se per il calcio sono durati poco, forse possono fare meglio nell’attività podistica. Ma Dante Bertoneri, dopo qualche problema alla schiena, si ritrova senza contributi per la pensione, prova a chiedere aiuto ai vecchi amici del calcio ma ricevendo poche risposte, le stesse che ancora oggi non permettono di capire come un talento calcistico puro, risorsa dell’intero calcio italiano sia stato abbandonato così, improvvisamente e definitivamente.

Emarginato da quel Torino che lo aveva allevato e coccolato come un figlio. Perché? Risposte che probabilmente oggi servirebbero a poco e che, con tutta probabilità, né Bertoneri e né nessun altro avrà mai. Ci ha riprovato, alla fine, rientrando nel mondo del calcio nel 2018 come osservatore per una squadra toscana satellite proprio del Torino, la Giovani Granata Monsummano, dimettendosi però dopo circa sei mesi con una lettera di rinuncia che verrà pubblicata dai quotidiani locali e che farà tornare alla luce il nome di Dante Bertoneri, un ex talento del calcio che di fortuna ne avuta poca e di aiuti ancora meno, cresciuto col sogno di diventare un campione e finito nell’incubo dell’anonimato.

Sezione: Storie / Data: Ven 11 dicembre 2020 alle 15:22 / Fonte: Mediapolitika.com
Autore: Antonio Vistocco
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