La trattativa fu lunga ed estenuante, ci furono momenti in cui tutto sembrò saltare, che quel sogno potesse sfumare, poi arrivò la virata decisiva a miracol mostrare: Diego Armando Maradona era un nuovo giocatore del Napoli. In quel 5 luglio 1984, la febbre in città era altissima, il giovane Diego si sarebbe presentato alla sua nuova gente mettendo per la prima volta piede al San Paolo, in quel tempio laico che avrebbe santificato con la sua grandezza. Il Napoli non era pronto per diventare protagonista, il campione argentino sapeva bene che gli serviva un po’ di tempo ma, al momento opportuno, sarebbe nata una epopea memorabile. Prima di portare il Napoli sul tetto d’Italia, aveva una questione da regolare, una missione da compiere per conto della sua amata Argentina. Nel 1986, dopo aver chiuso la sua seconda stagione a Napoli, andò in Messico e vinse un Mondiale praticamente da solo mandando in visibilio i suoi connazionali. La gara decisiva, quella passata alla storia, fu il quarto di finale contro l’Inghilterra, una sfida che aspettava da tempo per vendicare la guerra delle Falkland che ebbe un esito tragico per il suo paese. Prima il gol della Mano de Dios, più che una furbata un gesto dall’inestimabile valore simbolico a cui seguì un gol regolare ma non come tutti gli altri, un gesto irripetibile da un altro essere umano. Maradona dribblò mezza squadra avversaria, gli inglesi erano inebetiti da quella classe cristallina, un gol passato alla storia e che sarà sempre ricordato per aver sfidato anche tutte le leggi della fisica. 

Dopo aver compiuto quella missione storica con la sua nazionale, anche perché non si dicesse più che la Selecciòn si era aggiudicata il Mondiale del 1978, tenutosi nella stessa Argentina, solo per volontà del regime che sfruttò la competizione per consolidare il proprio potere, era arrivato il momento del Napoli. Era una giornata di novembre del 1986 quando la milizia partenopea andò a sfidare nel loro fortino i campioni d’Italia della Juventus. Passarono in vantaggio i bianconeri, si pensava che tutto stesse seguendo il solito copione, ma Maradona andò a prendere il pallone dalla porta azzurra per portarlo al centro del campo. Un gesto che scosse la squadra fino a renderla devastante per la malcapitata Juventus, annientata da tre gol. Quella fu la gara della svolta, in quel pomeriggio il Napoli di Bianchi capì di poter scrivere la storia. Il 10 maggio 1987, il Napoli divenne per la prima volta campione d’Italia, dopo poco certificò la propria forza portando a casa anche la Coppa Italia. Erano anni in cui il campionato italiano era il più ambito, non c’era squadra che non annoverasse qualche fuoriclasse tra le proprie file, il livello era così alto che anche le medio-piccole potevano vantare nella propria formazione dei pezzi da novanta. Non era un caso che gli scudetti si perdessero contro le piccole, addirittura contro le retrocesse, come successe l’anno prima di quel magico ’87, con la Roma che consegnò lo scudetto alla Juve cadendo contro il retrocesso Lecce. Il Napoli del primo scudetto non era la squadra favorita, ce n’erano altre più forti, solo che si creò una alchimia perfetta proprio intorno ad un grande leader carismatico come Maradona. Dopo il Double, gli azzurri si ammantarono ulteriormente di un’aria sudamericana con i brasiliani Alemao e Careca, il livello di competitività della squadra si alzò in maniera esponenziale e arrivarono altri trofei. 

Nel 1989 la Coppa Uefa e come dimenticare quella doppia sfida contro la Juventus ai quarti di finale. 2-0 a Torino all’andata, sconfitta ribaltata con un magico 3-0 al San Paolo sublimato dal gol decisivo di Renica all’ultimo minuto del secondo tempo supplementare. L’anno successivo fu quello del secondo scudetto, più sudato del primo nonostante il Napoli fosse più forte di quello di tre anni prima, ma il suo principale antagonista era il fortissimo Milan dei tre olandesi: Gullit, Rijkaard e Van Basten. Una estasi incredibile, Napoli ancora una volta sul tetto d’Italia, ma era tutto vero? Tutta la città era ai piedi di Maradona, il quale aveva un altro sogno: far vincere alla sua Argentina il secondo mondiale consecutivo, quello del 1990, proprio in Italia. Il destino volle che l’accesso in finale passasse proprio dal San Paolo contro l’Italia. Si sapeva che sarebbe stata una notte di lacerazione emotiva per i napoletani, alla vigilia la descrisse benissimo un grandissimo giornalista come Giorgio Tosatti: “Napoli è una donna divisa tra l’amore per il proprio uomo e la lealtà verso la famiglia, l’orgoglio di appartenervi, il richiamo del sangue e quello del cuore. Quale che sia la sua scelta, le resterà il rimorso di aver commesso un tradimento”. Ecco, nessuno avrebbe mai potuto capire cosa provasse un napoletano in quel momento, la partita fu infinita, si decise ai rigori dove prevalse l’Argentina e quell’Italia di Vicini partita con i favori del pronostico, anziché assumersi le proprie responsabilità per gli errori commessi sul campo (quelli che davvero costarono l’approdo in finale), fece passare il messaggio di uno stadio tiepido verso gli azzurri. È così nauseante che non merita neanche di essere commentata una roba simile. A quell’Argentina non perdonarono lo sgarbo della semifinale, lo certificò il rigore concesso nella finale di Roma alla Germania Ovest a cinque minuti dal 90’. 

Maradona sfiorò un altro miracolo sportivo avendo come compagni di squadra Sensini e Dezotti, reduci dalle retrocessioni in B rispettivamente con Udinese e Cremonese, al cospetto di una Germania Ovest infarcita di top tra cui i tre “interisti” Brehme, Matthaus e Klinsmann. Dopo due mesi dall’aver calcato il San Paolo con la maglia dell’Argentina per sfidare l’Italia, Maradona ritornò nel suo tempio di Fuorigrotta di nuovo con la 10 azzurra per la Supercoppa contro la Juventus. Si affrontavano di nuovo i due simboli di quella tanto discussa Italia-Argentina: da un lato Schillaci, dall’altro Maradona. Non ci fu partita, 5-1 per la ciurma del Pibe de Oro, un’altra pagina indimenticabile di quegli anni d’oro. Quella partita fu l’emozionante prologo dell’anno in cui si congedò da quella che era diventata la sua terra: Napoli. Dopo la parentesi al Siviglia, si accasò con gli argentini del Newell’s Old Boys, sembrava al crepuscolo la sua gloriosa e anche tormentata carriera ma tutti vollero che partecipasse al mondiale degli Stati Uniti nel 1994. Serviva la figura di Maradona solo per una questione mediatica, tanto si sapeva che in campo non avrebbe mai potuto sciorinare la classe di un tempo. Invece, dopo le prime due partite, Diego smentì tutti, a 33 anni il suo talento era quello di sempre, in campo produceva le solite magie nonostante le dipendenze continuassero a dilaniarlo. Dinanzi al “rischio” di rivedere ancora una volta Maradona portare l’Albiceleste al traguardo, fu montato il caso al solo scopo di anticiparne il canto del cigno e, pur esprimendo una forza mai avuta fino a quel momento, senza il suo faro si spense tutta l’Argentina che pagò dazio con l’eliminazione. 

Maradona era capace di tutto, fermarlo in campo non era possibile, bisognava attivarsi con tutti i mezzi fuori dal rettangolo di gioco, dove purtroppo lui è rimasto vittima delle sue fragilità e di tanti figuranti che, anziché tendergli una mano, se ne sono serviti per i propri interessi. Napoli non ha mai smesso di amarlo, ogni volta che è ritornato in città è stato travolto da uno tsunami d’affetto, i napoletani non lo ringrazieranno mai abbastanza per ciò che ha fatto in quegli anni irripetibili. È stato lui a caricarsi sulle spalle le ansie di un popolo e a promettergli la riscossa tanto agognata, si è preso su di sé tutti i sogni di quella gente con la quale si è identificato dal 5 luglio 1984 mantenendo le promesse con una esemplare fedeltà. È stato di parola, si pensava che sarebbe stato bello ma non come lo è stato nella realtà, perché è stato tutto molto più bello di quanto ci si immaginasse, una sintonia unica, un legame indissolubile, un matrimonio in cui ci si è promessi amore eterno. Quell’amore che non ha mai vacillato, che si è manifestato in tutte le forme raggiungendo spesso il parossismo, quell’amore misto a tristezza e nostalgia quando è arrivata la notizia ferale, quella alla quale nessun napoletano sarebbe mai stato pronto. Perché uno come il Pibe de Oro per i napoletani vivrà sempre. 

Sezione: Editoriale / Data: Gio 26 novembre 2020 alle 16:38
Autore: Maurizio Longhi
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