Il mondo del calcio piange Giovanni Lodetti, l’ex centrocampista del Milan degli anni d'oro degli anni Sessanta. Nato a Caselle Lurani, provincia di Lodi il 10 agosto 1942, è stato considerato il gregario di Gianni Rivera, mentre in realtà, oltre a essere un ottimo mediano di interdizione di buone capacità atletiche (quello che oggi si definirebbe "box to box"), Lodetti era anche dotato tecnicamente. In carriera ha vinto tutto: 2 scudetti, 2 Coppe dei Campioni, 2 Coppe delle Coppe, una Coppa Intercontinentale e una Coppa Italia con la maglia del Milan, più un Europeo con l’azzurro della Nazionale nel 1968. Le nuove generazioni lo hanno conosciuto per le sue partecipazioni alle trasmissioni televisive locali.
Chi invece ha avuto la fortuna di conoscerlo personalmente ha avuto modo di trovarsi di fronte una persona straordinaria. Certo, quando qualcuno passa dall'altra parte diventa automatico esaltarne le doti umane. In questo caso, però, il luogo comune si sposa con la realtà. Quando qualcuno gli diceva che era molto più di un cursore, lui si illuminava e diceva (nel dialetto che riservava alle persone di cui si fidava): "Mi s'eri bun". E "bun" lo era davvero. Marcatore implacabile, sapeva proporsi quando aveva la palla grazie a una capacità di corsa invidiabile. In più leggeva il gioco come pochi. Sapeva trovare corridoi per i compagni e inserirsi in zona-gol. Altro che gregario. Ha vinto tanto ma non ha dimenticato due ingiustizie che lo hanno segnato. La prima ai Mondiali del '70 quando, dopo che Anastasi era stato costretto a lasciare la Nazionale, Valcareggi aveva convocato al suo posto due attaccanti, Boninsegna e Prati, decidendo di rinunciare al "Giuanin" costretto così a vedere l'avventura azzurra in Messico dal televisore. Pochi giorni dopo si ritrovò chiamato dal bar dello stabilimento balneare, dove stava passando le vacanze, per ricevere la comunicazione del Milan che era stato venduto alla Sampdoria. Raccontava quell'estate assurda più con amarezza che con rabbia, dando l'impressione di una persona che non sapeva portare rancore ma era incapace di dimenticare. Eppure ha continuato a tifare Milan, come faceva, senza recitare, nelle varie tv locali in cui commentava le partite.
Grande raccontatore di aneddoti (leggendario quello di quando i compagni della Samp lo mandarono a chiedere un giorno libero a Heriberto Herrera e si sentì dare del "cojon" dall'allenatore paraguaiano), il più bello in assoluto è di quando aveva già smesso di giocare. La voglia di calcio non gli era mai passata. O meglio, la voglia di continuare a dare calci al pallone su un prato verde (e chiunque l'abbia provato sa che poche cose al mondo sono più belle). Un giorno si presentò al parco di Trenno, a Milano, dove quotidianamente centinaia di innamorati di calcio disputavano partite solo per il gusto di giocare. Quella volta una delle due squadre aveva un giocatore in meno e chiesero a Lodetti di unirsi a loro, dando pochissima fiducia a uno che, ai loro occhi, sembrava un vecchietto. Lui giocò come sapeva e, nonostante la differenza d'età, era di un altro pianeta rispetto a tutti gli altri. Alla fine, compagni e avversari, lo avvicinarono per fargli i complimenti e chiedergli come si chiamasse. Lui rispose: "Mi chiamo Ceramica", dalla scritta che aveva sulla giacca a vento indossata quel giorno. Da allora gli appuntamenti al parco divennero frequenti, con i compagni che continuavano a chiamarlo Ceramica. Tutto finì la volta in cui un signore anziano, che stava portando in giro il cane, non lo riconobbe dicendogli: "Uè Lodetti, stè fee chì?", svelando a tutti la vera identità di Ceramica. Quando lo raccontava aggiungeva sempre: "Quelle sono state le mie partite più belle". Ciao Giuanin, grazie per la tua amicizia e per averci fatto vivere, con quei racconti, tutta la poesia di un mondo che non c'è più.
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